Italiani in difficoltà.
credit: teegardin
Il Consigliere danese Jorgen Uldall-Ekman ha girato gran parte dell’Italia (molti altri Paesi d’Europa e non solo) per cercare reclute. La destinazione non è una base militare ma la Danimarca, “Paese ideale” per chi ha voglia di lavorare dimenticando l’esistenza della paghetta a mille euro al mese per passare agevolmente a quella dei quattromila. Sì, avete capito bene: quattro mila euro al mese. Se volete, chiamatela pure terra promessa, la Danimarca. E di promesse mantenute. Disoccupazione tra le più basse d’Europa e welfare tra i più alti, stipendi stellari, tempo libero a go-go, grandissima flessibilità. Il tutto moltiplicato per oltre sessantamila posti vacanti a disposizione di tutti noi. Se vogliamo. Altrimenti possiamo sempre rimanere a casa nostra, in Italia. Dove le cose però sono un tantino diverse. Se volete sentire come, attraverso il cinema, potete andare a vedere le tante pellicole che vanno (guarda caso) di moda adesso, come “Giorni e nuvole” di Silvio Soldini, o “Riprendimi” di Anna Negri o ancora “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì. Altrimenti si può continuare a leggere i dati che ci raccontano la nuda e cruda verità, così com’è: dal red al black carpet.
Inflazione al 3,3 per cento, disoccupazione giovanile al 21,8 per cento, redditi giù di 13 punti rispetto alla media europea, affitti alle stelle, stipendi al ribasso. Parola d’ordine: precarietà. Seguita a ruota da: insoddisfazione. Convinzione diffusa da sempre che “è proprio vero, voi italiani siete tutti mammoni”. O forse oggi sarebbe meglio dire “bamboccioni”. Sarà arrivata pure ai loro orecchi questa parola di cui noi, non ne possiamo più. Eppure, per quanto il termine possa infastidirci, ci racconta. Volenti o nolenti bamboccioni gli italiani sono. Siamo. E se continua così, restiamo. Intrappolati in un sistema che non ci aspettavamo così terribile, amareggiati e sorpresi anche se i nostri genitori avevano tentato di avvertirci: “ci siamo mangiati tutto” dicevano. Era vero. Così ormai sembra quasi di immaginarselo questo pasto pantagruelico di cui tutti i nostri padri e madri, in piedi, si abboffano allungando le mani a più non posso. Ma tant’è. Non è che i più adulti stiano poi tanto meglio. I figli ce li hanno ancora a casa, appunto. La spesa costa il doppio e il tempo lo si passa a litigare con il caro tutto. Caro benzina, caro gasolio, caro libri. E pensare che una volta “caro” significava anche “amato”. Adesso persino quello ci fa pensare al politico, mica al fidanzato col quale non riusciamo nemmeno ad andare a convivere. Perciò sfiducia, rabbia, delusione. Ma non eravamo il Bel Paese? Quello con la Milano da bere? (Ah, già, anche Marco Mignani, il creativo che la inventò, è morto quest’anno). Degli italiani che “loro sì che se la godono”? Adesso anche là fuori ci hanno scoperto. Per giorni siamo stati derisi sui giornali d’oltralpe e noi lì, tutti offesi: “Ma come, non ci invidiano più?”. No, non ci invidiano più. Ora siamo noi che guardiamo fuori dalla finestra aspettando che il signor Jorgen Uldall-Ekman venga a chiamarci. E non ci va neppure male: una volta per trovare fortuna bisognava arrivare alla Statua della Libertà. Ora la libertà (di essere appagati, di sperare, di costruirsi una vita) è appena fuori da casa nostra. Tutto sta a non chiedersi più perché dentro, invece, non ci sia davvero più modo per essere liberi. E, a quanto pare, nemmeno per essere, e basta.
P.s.: la recentissima classifica compilata dal sofisticato settimanale britannico “Monocle” ha appena decretato che la città più vivibile al mondo è Copenaghen. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese che non compare in classifica nemmeno con una città. Cosa potremmo dire: “Ve l’avevamo detto?”.