Sognando casa. Storia di emigranti italiani.
credit: Images of History
Dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, ottobre 1912: “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”
Essere emigranti italiani, nel 1900, significava quasi sempre essere raccontati più o meno così. L’emigrazione e l’immigrazione hanno d’obbligo due facce diametralmente opposte: da una parte c’è chi vive il sogno di trovare un’altra casa, migliore di quella in cui vive; dall’altra c’è l’ostilità, la diffidenza di coloro che ospitano o – meglio – che dovrebbero ospitare. Due facce che esistevano allora, quando ad inseguire il sogno dell’altrove eravamo noi, due facce che esistono oggi all’opposto, ovvero quando siamo noi a parlare come sopra degli stranieri che sognano casa a casa nostra. Ad ogni modo – tornando nello specifico agli italiani – il sogno di poter trovare una nuova casa, un posto migliore in cui vivere, è sempre stato più forte e potente di ogni difficoltà o di qualsiasi ostilità. Basti pensare, per rendere bene l’idea, che negli anni compresi tra il 1861 e il 1985 furono registrate, all’incirca, ben 30 milioni di partenze. Ma dove andavano i nostri connazionali a cercare fortuna? La maggior parte si trasferivano ovviamente negli Stati del mondo occidentale (in special modo negli Stati Uniti appunto, ma anche in Brasile, in Argentina e – in Europa – in Francia, Svizzera, Belgio e Germania) mentre altri si spostavano nel nord Africa (Egitto, Tunisia, Marocco ma anche nelle colonie italiane della Libia e dell’Eritrea).
Un movimento importantissimo e gigantesco – quello dell’emigrazione italiana – che è stato raccontato dettagliatamente dalla storia, in primis, ma anche dall’arte e dalla cinematografia in particolare. Chi non ricorda, ad esempio, il bellissimo film del 1971 di Luigi Zampa con Alberto Sordi e Claudia Cardinale dall’esplicito titolo “Bello, onesto, emigrato in Australia sposerebbe compaesana illibata”? O ancora l’altrettanto splendida e più recente pellicola di Emanuele Crialese “Nuovomondo”? L’emigrazione – ovvero il perseguimento del sogno dei sogni, del Desiderio con la D maiuscola, quello di trovare casa e cioè un luogo dove ci si possa sentire sicuri, protetti e fiduciosi nei confronti del futuro – è di per se stesso un fenomeno che si trasforma ma che non può mai cessare di esistere. E che per questo motivo deve farci sempre riflettere su quel suo già citato e importante aspetto speculare: l’accoglienza. Proprio parlando del concetto e dell’idea di “home”, infatti, ognuno di noi è ospite e padrone di casa al tempo stesso. Basterebbe non dimenticarlo mai.