Nell’immaginario comune c’è una nuova, originale, eccentrica eroina: Lisbeth Salander. Nove tatuaggi, mente matematica, abilissima hacker, solitaria, dark, incompresa, perseguitata.
Le caratteristiche per diventare un personaggio amato e catalizzante ci sono tutte: Lisbeth lotta da sola contro il mondo, contro i pregiudizi, contro gli uomini che abusano delle donne. Il suo personaggio nasce dalla penna e dalla fantasia di Stieg Larsson, scrittore e giornalista svedese – esperto conoscitore di organizzazioni di estrema destra e neonaziste – scomparso improvvisamente il 9 novembre del 2004 all’età di cinquant’anni a causa di un attacco cardiaco. Una morte che suona ancora più crudele e beffarda visto il successo mondiale ottenuto da quest’uomo talentuoso, così sfortunato da non aver mai potuto godere di cotanta postuma e meritatissima fama.
Mentre lui non c’è più, infatti, i suoi tre romanzi (“Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco” e “La regina dei castelli di carta”) continuano ad essere stampati e ristampati in una inarrestabile corsa al successo che sfiora oramai la mania vera e propria. Tradotta e pubblicata in più di trenta Paesi, la cosiddetta “Trilogia Millenium” ha già venduto otto milioni di copie in Europa, vinto una serie di prestigiosi premi (tra cui “miglior romanzo poliziesco svedese dell’anno” per “La ragazza che giocava con il fuoco”) ed è diventata un successo cinematografico e persino una fiction per la televisione svedese SVT. E pensare che nelle intenzioni di Stieg Larsson la trilogia non era che l’inizio di una serie ben più sostanziosa, al punto tale da prevedere addirittura dieci romanzi (tenete presente che ognuno di questi è composto all’incirca di 600 pagine!).
Argomento – quello del seguito di “Millenium” – che ha dato adito a numerosi pettegolezzi: pare infatti che i manoscritti dei capitoli successivi della trilogia siano in possesso della compagna di una vita di Larsson – Eva Gabrielsson – con la quale però lo scrittore non era sposato e che per questa ragione è stata esclusa da qualsiasi eredità (andata invece al padre e al figlio del giornalista con i quali però si dice che quest’ultimo non avesse buoni rapporti). Che tutto ciò sia vero o meno, in ogni caso, poco importa: la trilogia “Millenium”, sorda ad ogni tipo di speculazione o malignità, continua imperterrita la sua corsa al successo raccogliendo fan e proseliti in ogni dove. Ma quali sono allora gli elementi che hanno reso un vero e proprio trionfo questa serie letteraria? In primis la caratterizzazione dei due protagonisti: Mikael Blomkvist, il giornalista puro e coraggioso (“Millenium” è in realtà il nome della rivista per la quale lavora) che vive, a suo rischio e pericolo, denunciando corruzioni e violenze e Lisbeth Salander, la mascolina e impavida hacker che diventa sua amante e suo indispensabile braccio destro. Due personaggi originali, forti, positivi (il che non significa intimamente poco tormentati), all’apparenza lontanissimi ma in realtà assai vicini e simili tra loro. E poi ancora grande suspense, mistero, un intreccio fittissimo e formidabile di eventi e di colpi di scena orchestrati con eccezionale abilità da questo scrittore che non avremmo mai voluto ci abbandonasse così presto.
E allora che fare dopo aver finito di leggere tutti e tre i romanzi e visto ogni film (svedese e anche remake americano) che ne è stato tratto? Sarà il caso di rassegnarsi e dire addio a Mikael e Lisbeth o invece di continuare a sperare che Eva Gabrielsson faccia “resuscitare” – come ha lasciato intendere – l’attesissimo seguito della trilogia? E se così fosse Stieg Larsson sarebbe poi d’accordo? Certo la sua risposta è destinata a rimanere un mistero per sempre, mentre la nostra – decisamente più egoistica – è senza dubbio un coro di entusiastici “sì”.
Se, come si dice, “tenete famiglia” questo articolo potrebbe non fare per voi. Parliamo infatti di “singletudine”, ovvero di quella condizione in cui, soli e beati (ma sarà poi così vero?) ci si deve occupare solo ed esclusivamente di se stessi. Per tutti coloro che si trovano appunto in codesta – per certi versi invidiabile – situazione la rivista americana di economia e finanza Forbes ha stilato una lista delle migliori 40 città americane in cui un single può vivere davvero alla grande. Ma su quali elementi si basa tale classifica? Ovvero cosa rende davvero felici un uomo o una donna soli? In primis, paradossalmente, proprio la possibilità di trovare un compagno o una compagna, magari attraverso appositi siti online; a seguire – naturalmente – l’animazione notturna (i single, si sa, dormono poco), l’offerta culturale e di lavoro e – specie in tempi di recessione – il costo della vita per chi si trova a vivere, appunto, per conto suo.
Eccoci allora a scoprire quale città è sul podio come miglior location per cuori solitari: scontato ma vero, si tratta proprio di New York. Con i suoi 35mila ristoranti e 734 musei, la sua elettrizzante vita notturna e l’infinita offerta di opportunità in ogni senso, la Grande Mela si posiziona anche in questa ricerca al top della classifica. Segue l’affascinante Boston, che eccelle in quanto a scuole presenti nel territorio e opportunità di fare carriera; al terzo posto troviamo invece Chicago, anche detta “la patria dei quartieri per single”, con i suoi celebri locali jazz e blues e un costo della vita mediamente abbordabile. Al quarto posto si posiziona la sempre piovosa ma al tempo stesso bellissima Seattle: considerata al momento la città più cool degli States, questa metropoli si contraddistingue per gli stipendi alti e per il suo notevole livello di vivibilità soprattutto, appunto, per chi vive da solo. Quinta è invece la capitale degli Stati Uniti d’America: Washington D.C. si fa notare per il suo basso tasso di disoccupazione e per la sua vivace vita notturna, ideale per chi è alla perenne ricerca di divertimento e avventura. Atlanta, nota agli amanti del low cost, San Francisco, celebre per i suoi ponti e la cultura trendy e alternativa, Los Angeles, città delle star e di chi sogna di incontrarle, Milwaukee, capitale della birra e dei festival e Philadelphia, costosa ma molto ospitale, chiudono la top ten delle migliori città USA per single secondo Forbes. C’è però anche chi è rimasto indietro ma tenta tuttavia di farsi strada nel “cuore” (e nelle tasche) dei single: stiamo parlando di altre due metropoli americane quali Austin, in Texas, e Portland in Oregon. Le loro caratteristiche che contano per i cuori solitari aumentano di giorno in giorno portandole ad essere sempre più vicine ai desideri dei single d’America e non solo. Persino Jacksonville, ultima nella lista di Forbes, conta la sua comunità di single che approfittano del meglio che la città può loro offrire, segno che la categoria dei non “accoppiati” è più che attiva davvero in ogni dove.
Se anche voi non avete ancora trovato il compagno o la compagna della vostra vita, provate dunque a seguire i consigli sulle città dei single secondo Forbes: approfittate per recarvi negli States e chissà che prima o poi non finiate per tornare “beneaccompagnati”.
La Signora Monica Anna Maria Bellucci è nata a Città di Castello il 30 settembre del 1964. Accorgendosi evidentemente subito della sua bellezza ne approfitta per pagarsi gli studi universitari iniziando a lavorare come modella. Presto però, gli studi decide di abbandonarli dato che la passerella rende decisamente di più. La sua carriera cinematografica inizia nei primi anni novanta. Dopo una serie di pellicole di poco conto la Bellucci cerca fortuna altrove e tenta di scalare la vetta del cinema francese. Ce la fa: viene scelta per affiancare Vincent Cassel nel film L’appartamento. Lei non si lascia scappare la ghiotta occasione: il 3 agosto 1999 Vincent Cassel se lo sposa e dal cinema francese, invece, si fa sposare. “Me ne sono andata a Parigi perché in Italia non riuscivo a ottenere quello che volevo” – ammette. Mica-scema-la-signora. Signora che non disdegna, però, anche il cinema in patria. Così eccola tornare per girare il film che la consacrerà a diva: “Malèna” di Giuseppe Tornatore.
Già allora nessuno si chiese come mai un’attrice che in un film intero ha sì e no 10 battute venne consacrata come una grande attrice. Storditi da una serie innumerevole, stavolta sì, di sottane di seta, non ci siamo accorti che la signora Bellucci tutto faceva tranne che recitare. La leggenda di Monica, però, a quel punto è ormai decollata. La Signora è del resto decisa a far conoscere il suo splendore in tutto il mondo. Non si risparmia dunque (né ci risparmia) svariate pellicole hollywoodiane (Under Suspicion, Matrix, La passione di Cristo, per citarne alcune), nonché ancora una serie di film francesi e italiani (Irreversibile, Per sesso o per amore?, Ricordati di me, Manuale d’amore 2). Ovviamente non si fa mancare nemmeno la pubblicità: In fiore Bras, Breil, Dolce & Gabbana, Intimissimi.
In tutti questi ruoli non ce n’è uno che non sfrutti la fisicità della Signora. La recitazione, rispetto all’estetica della Bellucci, ha sempre un ruolo di quarto piano, come presumibilmente la misura del suo celeberrimo decolletè. Nessuno però sembra farci caso: Monica è considerata come una delle creature più divine dello schermo e delle donne più belle della terra. Per questo è onnipresente, diventa icona stessa del cinema (a dispetto di quelle capacità mancanti che dovrebbero essere la premessa essenziale anche solo per farne parte), diviene giurata (proprio lei) al Festival di Cannes. Qualcuno, a questo punto, dice ad alta voce quello che in molti già da tempo mormorano: “Perché un’attrice che non è di certo un “mostro” di bravura diviene talmente famosa da ergersi addirittura a giudice di chi il mestiere di attore lo sa fare davvero”? La provocazione prende piede a Cannes 2008. Viene girata direttamente ai registi l’imbarazzante domanda: “Secondo lei, Monica Bellucci sa recitare?”
“È tutto tranne che una grande attrice” ha il coraggio di rispondere in quell’occasione Dino Risi che tra l’altro fu proprio il primo a lanciarla nel 1990 con il film tv “Vita coi figli”. Anche Lina Wertmüller non sembra entusiasta: “Non è la Duse. Si difende con onore, però sostenere che sia l’erede della Loren è proprio una scemenza” – dice – mentre Morando Morandini, famoso critico cinematografico, aggiunge: “Una vera attrice? Lo sta diventando oggi”. Intanto lei dichiara in un’intervista a Donna Moderna: “Sono felicissima di partecipare al Festival di Cannes come protagonista di “Sanguepazzo” di Marco Tullio Giordana. E sono molto contenta di tornare al Festival, soprattutto perché è la prima volta che ci vado con un film italiano”. Affascinante, elegantissima, austera, sorda alle critiche, francese quanto basta (e quando vuole). Forse la parola vincente della Bellucci non è “bellissima”. Ma “furba”. E in questo senso, bisogna ammetterlo, anche “bravissima”.
Carla Bruni è come quella pubblicità – risalente a un po’ di anni addietro – di una nota marca di scarpe di tela che recitava testualmente (in quel caso però al plurale): “O la ami, o la odi”. In molti, a dire il vero, ultimamente dichiarano di protendere più verso la seconda scelta ma chissà se poi lo pensano veramente o se è solo una delle tante forme dell’invidia. Già perché la signora Bruni – ora anche Madame Sarkozy, detta Carlà – possiede una caratteristica particolare che facilmente suscita una strana mescolanza composta da fastidio e ammirazione insieme: ella sembra una bellissima creatura incapace a far nulla e al contempo abilissima, al contrario, a realizzare praticamente di tutto.
Non ha un filo di voce? Sì, ma fa la cantante in un modo tutto suo che non è niente male e vende pure un sacco di dischi. E’ una modella molto appariscente come, in fondo ce ne sono, molte altre? Si, ma lei d’improvviso (precisamente il 2 febbraio del 2008) sposa nientemeno che il Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy (per gli amici “Sarkò”) e diventa la première dame francese. Dunque riassumendo è bella, brava, ricca e famosa. Basta così? Certamente no. Carla Bruni ha, tra le altre cose, una famiglia interamente composta da artisti e da persone famose (il padre, Alberto Bruni Tedeschi, è un compositore, la madre Marisa Borini una pianista, la sorella Valeria Bruni Tedeschi un’attrice e la cugina, Alessandra Martinez, una famosissima ballerina); un ex compagno tradito e abbandonato (il filosofo Raphael Enthoven, con cui la Bruni ha avuto anche un figlio, Aurélien) che ancora oggi la rimpiange e, se ha modo di parlare di lei pubblicamente, la difende; un marito Presidente che anche davanti ad ogni telecamera non ha nessun pudore a guardarla completamente inebetito e una platea gigantesca (Sarkò incluso ovviamente, posizionato in prima fila) che al “Radio City Hall” di New York l’applaude con grande calore quando canta per festeggiare i 91 anni di Nelson Mandela (nonostante aveva promesso che per ora, data la sua nuova “carica”, non si sarebbe più esibita dal vivo).
Il fatto è che Carlà, bisogna ammetterlo, ci sa proprio fare. Anche al G8, ad esempio, ha trovato il modo di distinguersi e far parlare di sé. Mentre le altre First Ladies si aggiravano fra i negozi e le bellezze della Capitale, lei ha rifiutato quella parte di soggiorno romano, scegliendo di presentarsi solo in Abruzzo nei luoghi del terremoto, dove aggirandosi fra le macerie ha versato anche qualche lacrima di commozione. “Sembra una Madonna” – hanno detto gli abitanti del luogo che hanno avuto la fortuna di ammirarla durante la sua visita. Come non detto, rispondiamo noi. La magia di Carlà ha colpito ancora. Certo, tornando indietro a qualche tempo fa, molti italiani non hanno gradito quando lì per lì la signora Bruni dichiarò con totale franchezza di essere molto felice di essere diventata francese, subito dopo essere venuta a conoscenza della battutaccia del nostro Berlusconi sull’Obama abbronzato (in realtà, come si poteva darle torto?). “Siamo ben lieti che Carla Bruni non sia più italiana” – le aveva risposto per le rime un piccatissimo Francesco Cossiga. Scaramucce che non sono però riuscite minimamente a mettere in ombra il fascino misterioso e incontrastato di questa donna a dir poco magnetica. Chi la ama o chi la odia lo fa insomma per gli stessi motivi, la maggior parte dei quali sono stati citati qui sopra. E se a qualcuno è venuta voglia di approfondire ecco due suggerimenti, sotto forma di romanzi, anche in questo caso decisamente agli antipodi. “Carla e Nicolas: la vera storia” per chi ha voglia di sentire le amorevoli dichiarazioni di Carlà verso il suo uomo; “Niente di Grave” (scritto dalla ex moglie dell’ex compagno di Carla Bruni) per chi invece non vede l’ora di sentir parlare male, ma proprio male, di lei.
Madames et monsieurs, à vous le choix.
Nonostante sia formata da appena due lettere, è la parola che rischia di essere la più costosa al mondo. Di cosa stiamo parlando? Del fatidico “sì”, naturalmente. Prendiamo la classifica che il sito Forbes.com ha stilato dei matrimoni più costosi della storia di Hollywood, per esempio. All’ultimo posto troviamo a sorpresa Nicole Kidman e Keith Urban: il costo stimato del matrimonio è di “soli” 250.000 dollari.
Nicole indossava un vestito disegnato da Nicolas Ghesquiere per Balenciaga ed è arrivata in una Rolls-Royce Limousine. Tra i 200 invitati erano presenti celebrità come Naomi Watts, Russell Crowe e Hugh Jackman. E ora vediamo invece il top della classifica, dove troviamo i veri spendaccioni: al terzo posto ci sono Elizabeth Hurley e Arun Nayar, che hanno speso 2,5 milioni di dollari. Il Sudeley Castle nel Gloucestershire ha fatto da scenario per la cerimonia ed Elisabeth indossava un abito disegnato per lei dall’amica Donatella Versace. Al secondo posto Paul McCartney e Heather Mills: i due hanno speso 3 milioni di dollari nel 2002 per sposarsi in Irlanda. La sposa è giunta all’altare con una canzone scritta e cantata per lei da Paul McCartney. Tra i 300 invitati: Ringo Starr, Elton John ed Eric Clapton. Infine i primi in classifica: Liza Minelli e David Gest, con un matrimonio da ben 3,5 milioni di dollari, celebrato nel 2002 a New York City. Per l’intrattenimento era presente un’orchestra di 60 pezzi e niente meno che Tony Bennet. Tra gli invitati: Diana Ross, Lauren Bacall e Mia Farrow. Peccato solo che la coppia abbia divorziato l’anno seguente.
Quando si parla di matrimonio, però, anche al di fuori di Hollywood sono in molti a non badare a spese. Un esempio su tutti il campione britannico Wayne Rooney. Quasi quattro milioni di euro per sposare la fidanzata Coleen McLoughlin. Il vestito di lei? Una creazione color avorio da 100.000 sterline (127.000 euro) della casa di moda newyorkese Marchesa, naturalmente.
E se di colpo vi è venuta voglia di avere anche voi il vostro matrimonio da nababbi, ecco qualche suggerimento per i comuni (ma magari ricchissimi) mortali. Per cominciare, l’immancabile bouquet. L’ultima tentazione è un prezioso mazzo esposto al Takashimaya Department Store di Osaka, prezzo di mercato intorno agli 1,5 milioni di dollari. I suoi fiori sono tutte pietre pregiatissime, nello specifico opali messicani e diamanti gialli. E ancora, sempre il Giappone si è fatto avanti con un prototipo inestimabile (130 mila dollari circa). Si tratta di un gateau che oltre ad essere un gioiello di pasticceria è un gioiello vero e proprio: sulla normale glassa sono state infatti inserite decorazioni interamente realizzate di preziosi materiali. Per passare ai brindisi, è stato invece lanciato sul mercato questa primavera l’Indulgenze Coffret, uno scrigno che evoca atmosfere di fine ‘700 di cui sono stati tirati solo 75 esemplari in tutto il mondo. Un mix ineguagliabile di Pinot nero, Pinot Meunier e Chardonnay. Infine, se questi consigli non dovessero bastare, si può sempre prendere spunto dalla coppia per eccellenza di nababbi nostrani, Briatore/Gregoraci: casa nel lussuoso quartiere di Chelsea e spesa ai grandi magazzini Harrods tra Caviar House e Oyster Bar. Più facile di così.