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A look outside the water
by Luisa Scarlata

Uomini che odiano le donne. Libro, film, realtà sociale.

Uomini che odiano le donne. Libro, film, realtà sociale.

credit: bexwalton

In Svezia, un Paese considerato evoluto in questo senso (si parla degli svedesi come dei “campioni dell’uguaglianza”), si celano in realtà numeri che fanno vergognare. Stiamo parlando della violenza sulle donne: gli episodi di abusi sono infatti aumentati ad un ritmo a dir poco pauroso: + 140% tra il 1980 e il 2000, dati ufficiali alla mano.

Quello che preoccupa ancora di più è poi l’omertà da parte delle donne svedesi, soprattutto quando le violenze si svolgono all’interno delle mura di casa. Nonostante infatti la legge del posto sia, almeno teoricamente, tra le più avanzate in materia di tutela delle donne, queste ultime sembra abbiano davvero paura a parlare e ancora di più a denunciare, quasi come se gli abusi subiti dai propri mariti o compagni fossero considerati una sorta di “affare privato di famiglia”. In Svezia dunque il tema della violenza sulle donne è assai sentito. Deve essere anche per questo che lo scrittore svedese Stieg Larsson, con la sua trilogia “Millenium” incentrata proprio su questo tema, ha avuto un successo così strepitoso.

“Uomini che odiano le donne”, il primo dei tre volumi scritti da Larsson, ha venduto milioni di copie in tutto il mondo ed è stato insignito nel 2006 del premio “Glasnyckeln”, riservato ai migliori gialli scandinavi. Oltre alla scelta di un tema così “caldo”, la grandezza di Stieg Larsson sta però anche nel riuscire a non essere mai ovvio. “Uomini che odiano le donne” – abbiamo detto – si intitola il primo romanzo della serie “Millenium” ma in realtà, in tutta la storia che racconta, è una donna ad odiare profondamente gli uomini.
Lisbeth Salander (questo il nome della protagonista della storia raccontata da Larsson) è cresciuta con un padre odioso e violento che picchiava lei e soprattutto sua madre, dopo averla tradita con innumerevoli altre donne. Lisbeth vive sviluppando nella sua mente un modello maschile estremamente negativo e malato. Però Lisbeth è una che non ci sta a subire: per difendere la donna più importante per lei – e cioè la madre – arriva quasi ad uccidere il padre/mostro dandogli fuoco. (Torna la grandezza di Larsson che se da una parte vuole raccontare gli abusi subiti dalle donne, dall’altra si oppone all’idea di mostrare una donna debole e indifesa che capitola di fronte alle violenze subite dall’uomo). Ma il padre non è l’unica figura maschile negativa che Lisbeth incontra sulla sua strada: dopo essere stata bollata con psichicamente instabile (senza essere mai creduta in ciò che ha tentato inutilmente di denunciare anche alle autorità – e questa è un’altra denuncia, invece, da parte di Larsson) si ritrova tra le mani di un tutore che abusa di lei fisicamente e (o almeno ci prova) mentalmente. Lisbeth diventa così paladina di tutte le donne deboli e indifese, “la donna che odia gli uomini che odiano le donne” (questo sarebbe stato in realtà il titolo più giusto per il libro ma con due svantaggi: essere eccessivamente lungo e spiegare troppo).

Lisbeth non riesce ad amare gli uomini perché semplicemente non li considera degni di amore: per tale motivo è anche bisex; con gli uomini fa sesso/ginnastica, con le donne esprime quel poco di amore che ancora – troppo indurita dalla vita – riesce a dare. Anche le donne che odiano gli uomini però hanno le loro eccezioni; nel mondo che gli appartiene infatti, appare sempre, prima o poi, una figura maschile capace di riscattare l’intero genere (vi ricordate Mia Martini? Così diceva un verso di una delle sue canzoni più belle e struggenti: “Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo”). Per Lisbeth Salander l’uomo in questione è il giornalista Mikael Blomkvist, co-protagonista insieme a lei della splendida storia narrata da Larsson. La trilogia dello scrittore svedese e i film che ne sono stati tratti (il terzo è nelle sale a partire dal 28 maggio) mescolano dunque con impareggiabile maestria una triste ed amara realtà ad un capolavoro di fiction in giallo. Lo scrittore svedese ha regalato al mondo una figura femminile – quella di Lisbeth Salander – che ha fatto breccia nel cuore e nell’immaginario di molti e che soprattutto rappresenta la possibilità di riscatto da parte delle donne che hanno subito o subiscono violenza.

Perché purtroppo di uomini che odiano le donne il mondo (e non solo la Svezia) è pieno. Per questo ci vogliono più Lisbeth Salander. Davvero.

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July 2nd, 2010

Italiani in difficoltà.

Italiani in difficoltà.

credit: teegardin

Il Consigliere danese Jorgen Uldall-Ekman ha girato gran parte dell’Italia (molti altri Paesi d’Europa e non solo) per cercare reclute. La destinazione non è una base militare ma la Danimarca, “Paese ideale” per chi ha voglia di lavorare dimenticando l’esistenza della paghetta a mille euro al mese per passare agevolmente a quella dei quattromila. Sì, avete capito bene: quattro mila euro al mese. Se volete, chiamatela pure terra promessa, la Danimarca. E di promesse mantenute. Disoccupazione tra le più basse d’Europa e welfare tra i più alti, stipendi stellari, tempo libero a go-go, grandissima flessibilità. Il tutto moltiplicato per oltre sessantamila posti vacanti a disposizione di tutti noi. Se vogliamo. Altrimenti possiamo sempre rimanere a casa nostra, in Italia. Dove le cose però sono un tantino diverse. Se volete sentire come, attraverso il cinema, potete andare a vedere le tante pellicole che vanno (guarda caso) di moda adesso, come “Giorni e nuvole” di Silvio Soldini, o “Riprendimi” di Anna Negri o ancora “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì. Altrimenti si può continuare a leggere i dati che ci raccontano la nuda e cruda verità, così com’è: dal red al black carpet.

Inflazione al 3,3 per cento, disoccupazione giovanile al 21,8 per cento, redditi giù di 13 punti rispetto alla media europea, affitti alle stelle, stipendi al ribasso. Parola d’ordine: precarietà. Seguita a ruota da: insoddisfazione. Convinzione diffusa da sempre che “è proprio vero, voi italiani siete tutti mammoni”. O forse oggi sarebbe meglio dire “bamboccioni”. Sarà arrivata pure ai loro orecchi questa parola di cui noi, non ne possiamo più. Eppure, per quanto il termine possa infastidirci, ci racconta. Volenti o nolenti bamboccioni gli italiani sono. Siamo. E se continua così, restiamo. Intrappolati in un sistema che non ci aspettavamo così terribile, amareggiati e sorpresi anche se i nostri genitori avevano tentato di avvertirci: “ci siamo mangiati tutto” dicevano. Era vero. Così ormai sembra quasi di immaginarselo questo pasto pantagruelico di cui tutti i nostri padri e madri, in piedi, si abboffano allungando le mani a più non posso. Ma tant’è. Non è che i più adulti stiano poi tanto meglio. I figli ce li hanno ancora a casa, appunto. La spesa costa il doppio e il tempo lo si passa a litigare con il caro tutto. Caro benzina, caro gasolio, caro libri. E pensare che una volta “caro” significava anche “amato”. Adesso persino quello ci fa pensare al politico, mica al fidanzato col quale non riusciamo nemmeno ad andare a convivere. Perciò sfiducia, rabbia, delusione. Ma non eravamo il Bel Paese? Quello con la Milano da bere? (Ah, già, anche Marco Mignani, il creativo che la inventò, è morto quest’anno). Degli italiani che “loro sì che se la godono”? Adesso anche là fuori ci hanno scoperto. Per giorni siamo stati derisi sui giornali d’oltralpe e noi lì, tutti offesi: “Ma come, non ci invidiano più?”. No, non ci invidiano più. Ora siamo noi che guardiamo fuori dalla finestra aspettando che il signor Jorgen Uldall-Ekman venga a chiamarci. E non ci va neppure male: una volta per trovare fortuna bisognava arrivare alla Statua della Libertà. Ora la libertà (di essere appagati, di sperare, di costruirsi una vita) è appena fuori da casa nostra. Tutto sta a non chiedersi più perché dentro, invece, non ci sia davvero più modo per essere liberi. E, a quanto pare, nemmeno per essere, e basta.

P.s.: la recentissima classifica compilata dal sofisticato settimanale britannico “Monocle” ha appena decretato che la città più vivibile al mondo è Copenaghen. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese che non compare in classifica nemmeno con una città. Cosa potremmo dire: “Ve l’avevamo detto?”.

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May 10th, 2010

Tv. L’isola delle vergogne.

Tv. L’isola delle vergogne.

credit: giasone_66

Il celebre reality di Rai2 condotto da Simona Ventura, “L’Isola dei famosi”, nella sua edizione 2010 sta diventando sempre più “L’Isola dei vergognosi ” o – quanto meno – delle vergogne.
Tutto è cominciato fin dalla prima puntata: i concorrenti dell’ “L’Isola dei famosi” vengono lanciati in mare da un elicottero a 10 metri d’altezza. Peccato che chi doveva occuparsi del lancio non ha preso bene le misure (o non ha calcolato gli effetti della bassa marea). Risultato? Tutti finiscono in acqua assai malamente. Chi è più fortunato lamenta “solo” dolori al sedere, ai piedi e alla schiena (per fortuna – e che fortuna – nessuno si è buttato di testa); per altri invece, si capisce subito che l’incidente avrà conseguenze più serie. L’attore e doppiatore Luca Ward, ad esempio, ha riportato ben 4 fratture (al coccige, all’osso sacro, alla seconda e all’undicesima vertebra dorsale) e ha rischiato la paralisi. Obbligato ad abbandonare il reality, ha prima minacciato a gran voce di denunciare la produzione dello show e la Magnolia (sottolineando anche di non aver ricevuto nemmeno una telefonata di cortesia né dalla produzione né dalla Ventura stessa) salvo poi “stranamente” ritrattare tutto e ottenere di essere, probabilmente, l’inviato nella prossima edizione del programma.

Ma il meglio dell’“L’Isola dei famosi” 7 doveva ancora venire. Dopo qualche settimana, infatti, scoppia il cosiddetto “caso Busi” (per chi non lo conoscesse, lo scrittore italiano nato nel 1948 che decisamente non ha peli sulla lingua). Aldo Busi, concorrente del reality, durante le varie puntate del programma si lascia andare, come suo solito, ad ogni genere di esternazione (del resto ci sa tanto che era stato invitato a partecipare proprio per questo): attacca in primis i suoi colleghi naufraghi, contesta la location del programma da lui definita una sorta di “latrina” – altro che atollo – e poi ancora approfitta delle telecamere per prendersela con il governo, con Berlusconi e persino con il Papa. A questo punto, però, scatta l’altolà. Il Papa, Gesù e Maria non si toccano, come ci insegnano la maggior parte dei reality italiani nei quali si può fare di tutto – ma proprio tutto – tranne insultare direttamente il Signore (che chissà però se non si sente molto più offeso da tutte le parolacce, le volgarità, le continue allusioni sessuali piuttosto che da qualche incauta bestemmia. Ma vabbé…). Lo scrittore, insomma, osa dire la sua sul Papa ed ecco che come una scure si abbatte su di lui “la cacciata di Aldo Busi”. Dal programma? Ma no! Da tutte le trasmissioni della Rai ovviamente. E guai a chi parla di censura.

Se pensate che ce n’è a sufficienza vi sbagliate. E pure di grosso. “L’Isola dei famosi”, infatti, quest’anno ha regalato a tutti noi ancora qualche bella sorpresina. Stavolta c’è di mezzo il settimanale “L’Espresso” e una sua inchiesta che nel mese di aprile ha svelato dei retroscena davvero raccapriccianti del celebre programma. Secondo “L’Espresso”, infatti, la troupe che segue i naufraghi del reality lavora e vive in condizioni terrificanti: alloggi di fortuna, cibo scadente, latrine a dir poco insufficienti (4 per 54 persone!), norme di sicurezza assolutamente non rispettate sono solo alcuni dei “disagi” raccontati da coloro che lavorano dietro le quinte dell’ “L’Isola dei famosi” e che finalmente hanno deciso di parlare, di protestare e di denunciare superando la paura di non essere mai più richiamati dalla Rai. Altro che “Isola dei Famosi” insomma. Semmai quella degli scandali, dei soprusi e della censura: purtroppo, quelli sì, molto più reali del reality.

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May 9th, 2010

Berlusconi. L’amore vince sempre – il libro.

Berlusconi. L’amore vince sempre – il libro.

“Me piacesse ‘e v’avè comm’amico e padre. Però me sta buono pure come presidente. Bevete molto e pigliatevi due vitamine”. “Grande Silvio. Non ti abbattono nemmeno con la kryptonite”. Questi sono solo due dei tantissimi messaggi ricevuti dal Premier Silvio Berlusconi al tempo del suo celebre ferimento con il modellino del Duomo di Milano da parte di Massimo Tartaglia (il 13 dicembre del 2009). Soprattutto sono solo due dei seicentocinquanta messaggi (ma ne avrebbe ricevuti oltre 50mila, afferma l’onorevole Antonio Palmieri) raccolti nel nuovo libro di Silvio Berlusconi uscito lo scorso 2 marzo ed edito – ovviamente – da Mondadori. Il volume, che nella grafica e nel titolo – “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” – ha un vago sapore simil religioso, è dunque una raccolta di e-mail arrivate nei giorni seguenti all’aggressione subita dalPremier sul sito internet forza silvio.it, network ufficiale online di Berlusconi. Ma non solo, perché il libro – duecentossesantadue pagine (!) al prezzo di 15 euro (ma i ricavati andranno in beneficenza) – contiene anche ben tre contenuti extra: il testo del discorso della “Discesa in campo”, la parte del discorso del presidente Berlusconi al congresso fondativo del Pdl del 27 marzo 2009 e la sintesi delle realizzazioni del governo da maggio 2008 a gennaio 2010.

Del resto Silvio – a modo suo – lo aveva detto fin da subito: “Penso di essere stato fortunato, perché avrei potuto passare Natale sottoterra: con la neve e il gelo che c’erano a Milano in quei giorni non sarebbe stato piacevole. Da un male, però, può nascere un bene: come segno di riconoscenza, ho deciso di raccogliere in un libro una selezione dei tanti messaggi di sostegno e di incoraggiamento che mi sono giunti”. Tradotto (e qui però non scherzava): perché non approfittare di questo brutto “incidente” che mi è sfortunatamente capitato per fare un bel po’ di pubblicità al Pdl? E ancora: perché non fare uscire il suddetto libro guarda caso proprio a ridosso delle elezioni Regionali? Ad ogni modo va ricordato che “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio” non è di certo il primo libro del nostro premierchefaancheloscrittore Silvio Berlusconi. Prima di questo prezioso volume ricordiamo infatti la pubblicazione di: “Verso il partito delle libertà” – Mondadori 2006, “La forza di un sogno” – Mondadori 2004, “Discorsi per la democrazia” – Mondadori 2001 e “L’Italia che ho in mente” – Mondadori 2000.

Per tornare sul tema però, e dunque sull’ultimo volume uscito, riportiamo un commento di Antonio Palmieri, curatore di “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”. L’onorevole Palmieri ha testualmente detto: “Questo libro può essere considerato come un’ecografia degli elettori del Popolo della libertà, il caleidoscopio dei sostenitori del presidente”.
“Me piacesse ‘e v’avè comm’amico e padre. Però me sta buono pure come presidente. Bevete molto e pigliatevi due vitamine”. Appunto.

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March 7th, 2010

Morgan contro tutti e tutti contro Morgan. Processo mediatico.

Morgan contro tutti e tutti contro Morgan. Processo mediatico.

credit: piermario

Lo chiamano “il grande assente” ma in realtà è stato – ed è – più presente lui di tutti gli altri artisti di questa edizione del Festival di Sanremo messi insieme. Stiamo parlando ovviamente di Morgan (nome d’arte di Marco Castoldi, ex Bluvertigo), il musicista e cantautore italiano “punito” (con l’esclusione dal Festival) per aver dichiarato, durante un’intervista, di fare uso regolare di cocaina. Proprio così: il povero Morgan ha peccato di ingenuità e cedendo all’impulso di “fare la rockstar” ha dichiarato al mensile “Max” di essere un consumatore abituale di stupefacenti (“Avercene di antidepressivi come la cocaina. Fa bene. E Freud la prescriveva” – è la sua frase più incriminata). Non l’avesse mai fatto – ops, detto! Il Festival di Sanremo (leggi la Rai) lo ha immediatamente epurato trasformandolo da concorrente mancato del Festival della Canzone Italiana a protagonista assoluto del “festival italiano dell’ipocrisia”. Contro di lui praticamente tutte le trasmissioni/tribune televisive (da Porta a Porta a Pomeriggio 5) e i tanti benpensanti del belpaese: la Santanchè ha dichiarato che adesso suo figlio le chiede se bisogna drogarsi per fare il cantante e diventare famosi, il ministro della gioventù Giorgia Meloni si è scagliata contro l’artista definendo le sue parole “deliranti” mentre Maurizio Gasparri si è immediatamente pronunciato a favore dell’esclusione del cantautore dalla celebre gara canora. Persino gli ex colleghi di “XFactor” – Mara Maionchi e Francesco Facchinetti – si sono espressi a sfavore di Morgan. Solo qualcuno ha invece avuto timidamente il coraggio di far notare che, se tutte le rockstar che si drogano scomparissero dalla faccia della terra, allora a cantare rimarrebbero solo i bambini dello Zecchino d’Oro. Un’esagerazione forse, ma di certo un’affermazione tutt’altro che stupida o insensata. In Italia però, si sa: fare è un conto ma dire o farsi scoprire (di fare e, in questo caso, di farsi) è assolutamente un altro.

In realtà, comprendere le regole del perbenismo di questo Paese è – in generale – cosa assai ardua. Non si capisce perché, ad esempio, al “Grande Fratello” sia assolutamente proibito bestemmiare (pena l’esclusione certa dal programma), però si possa, nell’ordine: dire ogni genere di parolaccia e volgarità a qualsiasi orario, offendere pesantemente le donne con parole e atteggiamenti, simulare atti o addirittura violenze sessuali, infine persino pesare con una bilancia un paio di “tette” (!) con scommessa fra gli uomini inclusa. Se bestemmiare è offensivo e diseducativo, il resto dell’elenco – ci chiediamo assai confusi – che cosa è? Uscendo dalla divagazione (scusate ma era pur sempre in tema festival, non quello di Sanremo ma quello dell’ipocrisia) e tornando a Morgan, curioso – e anche decisamente divertente – è andare a guardare il risultato di cotanta “operazione perbenismo”. Il cantante che doveva essere allontanato perché cattivo esempio è stato in realtà onnipresente e super-ospitato in tutte le trasmissioni e in tutte le reti. La sua canzone, cancellata per punizione dal Festival, ha ottenuto al contrario il premio di essere la più cercata e cliccata sul web. Il tutto grazie anche alla incredibile pubblicità che gli ha fatto la stessa Antonella Clerici durante la prima puntata di Sanremo. A luci soffuse, la bionda presentatrice della porta (molto, ma molto) accanto, ha recitato come fossero versi di Neruda alcune strofe della canzone di Morgan. In gergo pubblicitario si chiama “teaser” (dall’inglese “to tease”, ovvero stuzzicare) ed ha lo scopo di incuriosire verso qualcosa. Appunto. E per finire con le contraddizioni: se il Festival di Sanremo è una trasmissione educata e per famiglie cosa c’entrava lo spogliarello decisamente osé di Dita von Teese (nel finale del suo “numero” la prosperosa mora era praticamente nuda dentro una gigantesca coppa di champagne)? Non sarà che in Italia solo il sesso trova sempre e comunque tutte le porte aperte?

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March 6th, 2010

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