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A look outside the water
by Luisa Scarlata

Vuoi vedere che sono le fiction a tenermi ancorata alla realtà?

Vuoi vedere che sono le fiction a tenermi ancorata alla realtà?

credit: Luisa

Mentre ancora cerco di riprendermi dall’astinenza da “Breaking Bad“, riguardando il mio personalissimo calendario dal titolo “ripartenze serie tv” – ebbene – è proprio quello che mi sono chiesta. Il fatto è che se anche questi prodotti si chiamano fiction e quindi si tratta di roba – come dice il nome – sostanzialmente fake, sono così…fake-ing good!

Vediamo perché (scorrendo la mia lista):

Under the Dome (in corso la seconda stagione). Non è un capolavoro, tuttavia come si fa a resistere ai misteri della trasposizione televisiva dell’omonimo best seller di Stephen King? E poi c’è Mike Vogel, quello di Pam Am (ma perché mai hanno cancellato questa serie così sixties?) e di Bates Motel (che è scritto da uno degli sceneggiatori di Lost)…

The Bridge (in spasmodica attesa della stagione 2). Sono davvero tanti i motivi per cui vale la pena vedere questa nuova, validissima serie tv targata FX. Ma uno vince su tutti e vale, da solo, la visione di questo serial: la sua sigla iniziale con la opening song da brividi di Ryan Bingham “Until I’m One With You”. Ascoltare per credere.

New Girl (in attesa della quarta stagione). E’ facile dire perché agganciarsi a questa spassosissima e brillante sit com è praticamente obbligatorio: nessuno – semplicemente – dovrebbe vivere senza conoscere Jess.

Nashville (in attesa della terza stagione). Sarà una cosa personale, ma ho un debole per la musica country (in uno dei miei milioni di sogni mi sono sempre vista con stivali e cappello da cowboy, dentro ad un saloon, in attesa di salire sul mio toro meccanico dopo aver ballato quattro passi di line). Detto ciò, adoro questa gente affascinante che – mezza faccia sempre sofferta, coperta dal cappello – sembra fare l’amore sottovoce con il proprio singer partner o con il microfono stesso. Voi no?

Parenthood (in attesa della sesta e ultima stagione). Ai Braverman, diciamocelo, non può resistere nessuno. Perfetto erede di “Gilmore Girls”, Parenthood è la serie tv che ricorda al mondo quanto – a dispetto di qualsiasi cosa – sia bello avere una famiglia. E dopo aver combattuto tutto il giorno con la tua – perdonate – ma è impagabile un pensiero positivo così!

Grey’s Anatomy (in attesa dell’undicesima, ebbene sì, undicesima serie). Lo so, quasi non se ne può più di Meredith e Derek che ormai si sono belli che ammosciati, di Cristina che il-figlio-no-che-c’ho-da-lavorà, di Callie che ora si è beccata pure le lesbo-corna. Però che ci posso fare? Per smettere, mi dovrebbero ricoverare (al Seattle Grace ovviamente)…

Big Bang Theory (in attesa della stagione 8). Altolà. Che nessuno mi tocchi i nerds più geniali e divertenti della tv. Perché Sheldon me lo porterei a casa con tutto il suo fascicolo pazzo di regole dei coinquilini e Penny…ah, se fosse la mia migliore amica! 22 minuti a settimana di pura goduria.

Homeland (in attesa della stagione 4). Carry e Brody, per me, erano una droga. E Homeland un capolavoro. Adesso mi chiedo: ma come si fa ad uccidere il protagonista di una serie?! Qualunque cosa ci sia dietro – o sotto – un errore che non riesco a perdonare.

Walking Dead (in attesa della stagione 5). Prima di questa serie tv ero assolutamente allergica agli zombie. Zombie?! Puah: tutte cretinate. Poi è arrivato The Walking Dead e il mio interesse verso i non-morti è letteralmente…resuscitato.

The Americans (in attesa della season 3). Lo ammetto, questa spy story anni ’80 alla fine è riuscita a conquistarmi. I Russi, gli Americani, la Guerra Fredda. Certo, non è Homeland (con Brody), ma il suo posto nella mia lista se l’è bello che meritato…

Girls (in attesa della stagione 4). Lena Dunham. Eletta “persona più cool” del 2012 dal Time Magazine. Come si fa a dire di no a questa donna, anzi, a questa girl? Certo, ogni tanto esagera e ci deprime un po’, tuttavia di fronte a un talento così, non si può che fare chapeau.

Bates Motel (in attesa della terza stagione). Idea geniale. Cast pazzesco. Da uno dei creatori di Lost. Affittate immediatamente una camera.

Orphan Black (in attesa della stagione 3). La sorpresa del 2013 ha un accento assolutamente British e si chiama Tatiana Maslany, attrice capace di recitare la parte di tutti i suoi cloni (e non sono pochi) in maniera eccezionale. Una storia decisamente dark che va ben oltre i limiti dell’assurdo. E chi se la perde?

Mad Men (in attesa della seconda metà della settima e ultima serie). La domanda qui è solo una: come faremo, dopo questa last season, a lasciare gli anni ’60 e a sopravvivere senza i pubblicitari più fighi della Madison Avenue?

Falling Skies (stagione 4 in onda). Qui la faccenda è controversa. Più che amore continua ad essere curiosità. E un tira e molla continuo. Lo vedo, non lo vedo, lo vedo, non lo vedo. Alla fine, lo vedo.

Better Call Saul“. Lo spin-off di “Breaking Bad“? (previsto per novembre 2014). Letteralmente non vedo l’ora.

Helix (in attesa della stagione 2). Questa nuova serie tv di fantascienza, prodotta per la rete via cavo Syfy, appassiona, incuriosisce e intriga, senza tuttavia meritarsi il titolo di capolavoro. Siamo in quell’area, per capirci, che fu di “Heroes” e “Fringe“: un’area dove qualche difetto, purtroppo, non manca.

True Detective (in attesa della stagione 2). Standing ovation per la nuova serie scritta da Nic Pizzolatto (The Killing). La storia, gli ambienti, la fotografia, il montaggio, la opening song, i due fantasmagorici protagonisti principali, Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Tutto, ma proprio tutto, da applausi scroscianti.

Tyrant“. In attesa di prima visione (e quindi di giudizio).

The Leftovers“. In attesa di prima visione (e quindi di giudizio).

Silicon Valley (in attesa della seconda stagione). Serial grandioso, indimenticabili protagonisti. Siamo in area “The Big Bang Theory”, ma se lì ci si concentra più sulle vite private dei geek protagonisti, qui il focus è sul lavoro. Vale a dire: benvenuti nel “favoloso” mondo delle startup (in California, of course).

Rectify (in onda la season 2). Insieme a “True Detective”, il capolavoro di questa stagione. Non a caso Daniel Holden può essere definito come l’alter ego di Rust Cohle. Due dei personaggi più forti, incisivi, magnetici mai creati da una serie tv.

The Fall (in attesa della stagione 2). Questa serie televisiva britannica ambientata nel nord dell’Irlanda è un thriller psicologico a dir poco mozzafiato. Inquietante, spaventoso, ipnotico. Non fa di certo dormire sereni ma che dire: ne vale assolutamente la pena.

The Killing (resuscitata nuovamente per un’ultima stagione di soli 6 episodi). Le mie poche righe, in questo caso, vogliono essere un tributo. A questa serie tv meravigliosa, con due attori da Oscar, che non è mai stata veramente capita. Come in fondo successe tanti anni fa a “I segreti di Twin Peaks“.

* foto scattata agli Studios di Hollywood nel 2007.

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June 2nd, 2014

Microrecensione de “L’autunno del patriarca” di G.G. Marquez.

Microrecensione de “L’autunno del patriarca” di G.G. Marquez.

Un minuscolo concentrato di particelle nere per dirle che no, Signor Auditore, non avrei mai creduto che qualcuno potesse scrivere un libro tanto capace di annodarti il cervello alla sua storia con un così poco elevato numero di punti che se me lo avessero detto avrei pensato di certo che no, Signor Auditore, un uomo così non sa scrivere, che non è possibile stregare e violentare in tale modo gli occhi malati di chi ci stravede e le menti già normalmente confuse per pagine intere senza trovare un minuscolo pallino nero che ti indichi per un secondo che la tua mente può inspirare e lasciare per un frammento di tempo rotondo la vita di questo eterno patriarca di cui l’unica cosa che mi è veramente chiara, dopo duecentonovantaquattro pagine è che quando andava a dormire si serrava come un matto dentro casa facendo scorrere i suoi tre chiavistelli ed i tre chiavacci che alla fine a me sembravano novantanove a furia di sentirli ripetere che sì, Signor Auditore, la mia mente che già ha avuto troppi pochi punti per inspirare immaginava la sua casa come un continuo susseguirsi di porte rumoreggianti di chiavistelli e chiavacci e cominciava a sentirsi chiusa dentro anche lei fino a che anch’io, madre mia, sono giunta alla buona novella che il tempo incomputabile dell’eternità era finalmente terminato e lì, Signor Auditore, ho visto estasiata il punto più grosso della mia vita.

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April 18th, 2014

9 film che vorrei non aver visto per rivederli (come fosse la prima volta).

9 film che vorrei non aver visto per rivederli (come fosse la prima volta).

credit: Luisa Scarlata

Drive di Nicolas Winding Refn
Perché Driver (uno strepitoso e indimenticabile Ryan Gosling) è l’eroe degli eroi: il più spietato dei cattivi, il più romantico dei romantici. Gelido nello sguardo e nella postura, avarissimo con le parole, regala però ogni cosa di se stesso senza chiedere nulla in cambio. Tutta la sua vita si svolge dentro un’auto: le cose peggiori, le cose migliori gli accadono là dentro, con le mani sul volante, perché Driver è uno che non sa scendere, che non sa andare piano, è uno che si schianta ma non muore. Mai.

Once di John Carney
Perché “Once” non è un musical, ma un film fatto di musica. Dove c’è una storia che comincia con una canzone, finisce con una canzone e si racconta, dentro, attraverso tante canzoni (tra cui una, “Falling Slowly”, premio Oscar 2008 come Miglior Canzone Originale). Un film dove l’unico effetto speciale lo fanno le facce dei due protagonisti: per questo ci innamoriamo di loro fin dalle prime inquadrature. E ci sentiamo commossi da lei (Markéta Irglovà), che trascina il suo aspirapolvere rotto, con la stessa disinvoltura (ma non di certo la stessa tristezza) con cui Paris Hilton trascina il suo chi-hua-hua impomatato; e vicini a lui (Glen Hansard), specie rara di uomo sandwich cha lancia slogan sulla sua vita con la chitarra.

The Wrestler di Darren Aronofsky
Perché rimane un film che muove profonda e straordinaria compassione senza mai scadere nella drammatizzazione fine a se stessa. Rourke Randy “The Ram”, l’uomo che ai colpi della vita preferisce i colpi del ring perché alla fine sono quelli che fanno meno male, è l’emblema stesso del declino dell’eroe. Vederlo così spesso di spalle, con i lunghi capelli biondi che ingannano, non è che un segno di rispetto verso chi, tuttavia, non ha mai smesso di combattere.


Non ti muovere di Sergio Castellitto

Perché capita davvero raramente, guardando un film nato dalla trasposizione di un romanzo (“Non Ti Muovere” di Margaret Mazzantini), di risentire quello stesso brivido provato sfogliando le pagine che avresti voluto non finissero mai.

Colazione da Tiffany di Blake Edwards
Perché è un meraviglioso classico senza tempo, divertente, deliziosamente romantico, intrigante, commovente, fascinoso e seducente, capace di raccontare temi anche scabrosi, specie se si considerano gli anni in cui uscì (Holly, di fatto, è una che viene pagata dagli uomini per i suoi “servizi alla toeletta” e lo stesso George è ciò che si dice un mantenuto per le stesse prestazioni ma al contrario) con una eleganza, un garbo e una classe senza uguali.

I ponti di Madison County di Clint Eastwood
Perché è un film fatto di sguardi, di lentezza, di parole e di una gestualità sublime e perfetta. Come ci si sente piccoli e miserabilmente umani nel guardarlo! “Volere” (con tutta l’anima) e “rinunciare” (per dovere, per responsabilità, per correttezza): chi di noi non si è sentito così almeno una volta nella vita, chi di noi non ha pianto in quel modo per ciò che poteva essere e non è stato? Per un’altra persona, per amore, ma anche per qualcosa, per una situazione, per un luogo…

Little Miss Sunshine di Jonathan Dayton e Valerie Faris
Per i dialoghi da Oscar, le facce perfette, i personaggi indimenticabili, le performance recitative da standing ovation e – come se non bastasse – per il suo finale straordinario, che da solo vale la visione di tutto il film.

Le pagine della nostra vita di Nick Cassavetes
Perché è uno di quei “film di una volta” che quando cominciano ti prendono e ti portano via, fin dal primissimo fotogramma. E che proprio non ti permettono di ricordarti chi eri prima che iniziasse quel film, quella storia, quel tempo.

Gran Torino di Clint Eastwood
Perché Clint Eastwood regala al mondo un personaggio tanto complesso quanto meraviglioso e indimenticabile: una figura triste, malinconica e al tempo stesso poetica, quella di Kowalski, che entra nelle viscere dello spettatore per non abbandonarlo nemmeno dopo la fine del film.

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March 2nd, 2014

“Disconnect”. Tu ci sei su Facebook?

“Disconnect”. Tu ci sei su Facebook?

credit: thos003

“Tu ci sei su Facebook?”. Attenzione, perché questa semplice domanda è in realtà molto insidiosa e il più delle volte prevede solo due possibili conseguenze. A) La risposta è affermativa quindi, poiché anche tu fai parte di questa immensa sorta di gioco di società, allora colui che ha fatto la domanda continuerà ad intrattenere rapporti con te. B) Non sei su Facebook?!!!? (sì, perché chi sta su Facebook non contempla nemmeno lontanamente la possibilità che qualcun altro invece non ci sia, ergo che abbia una vita vera).

Allora, poiché probabilmente sei morto e non lo sai, hai comunque qualcosa di decisamente strano: l’autore del quesito non vorrà più avere contatti con te, dimenticando persino che da qualche parte, probabilmente prima dell’avvento di Facebook, vi eravate comunque e in qualche modo incredibilmente conosciuti.

Viene da chiedersi come mai se fino a poco tempo fa per avere contatti con una persona, un amico, si poteva usare anche la mail, il telefono o addirittura il vedersi (sì, quella cosa che si fa uscendo di casa, incontrandosi, guardandosi in faccia e parlando occhi negli occhi) oggi tutte queste alternative vengono totalmente snobbate dagli abitanti di Facebook. Se ponete questa domanda, la risposta è spesso quella più incredibile: “perché scrivere una mail o telefonare è molto più faticoso”.

Faticoso?! Lavorare in miniera è faticoso, studiare è faticoso, allevare un figlio è faticoso. Ma per l’utente tipo di Facebook telefonare ad un amico è faticoso. Allora forse la chiave di tutto sta appunto in quella parolina che è l’esatto opposto della fatica, ovvero la facilità. Facebook è un immenso serbatoio di “amicizie” facili. Cento, mille amici tutti lì a portata di clic, con cui condividere il club della Nutella o dei Simpson, una sorta di paesone narcisista, di “Novella 2000” delle persone comuni in cui il pettegolezzo domina senza neppure fare la fatica di mettere il naso fuori di casa per andarselo a cercare.

E allora via a guardare i profili (ovviamente se non falsi decisamente poco obiettivi) e le foto di tutti (che male c’è? Se ce le hanno messe vuol dire che vogliono essere guardati!), a cercare l’amico dell’amico dell’amica, l’ex fidanzato delle elementari, quella che mi piaceva quando avevo quindici anni e che-voglio-vedere-come-è-diventata-che-oggi-magari-si-vuole-mettere-con-me.

Un mondo di virtuali illusioni che funziona perché elimina ciò che è intrinseco nella costruzione e nel mantenimento dei rapporti umani: il rischio e, appunto, la fatica. Perché sudarsi un’amicizia o un amore veri quando stando comodamente seduti su una sedia ci si illude di avere una vita perfetta, fatta di mille ipotetici rapporti interpersonali di ogni tipo? Chi non sta su Facebook è “out”. Infatti è lì che vive la vita vera: fuori. Tutto il resto – e sono spaventosamente tanti – sono invece troppo “in”. In quel mondo parallelo in cui finiscono per passare ore e ore, fino a giornate intere.

Non c’è computer in ufficio che non abbia sempre una finestra aperta su Facebook né scrivania di studente che fra un paragrafo e l’altro non commenti l’interessantissimo messaggio di uno dei trecentosettantasette amici, tipo: “l’hai vista la partita?”.

A dare ragione a queste poche righe sono ormai in molti: il recente film di Henry Alex Rubin “Disconnect“, ad esempio, o ancora un importante studio effettuato dall’“Ohio State University” il quale dimostra, dati alla mano, come gli studenti del college che usano Facebook hanno voti più bassi rispetto a quelli che non lo utilizzano.

I rischi del celebre social network, ovviamente, non finiscono qui e, poco a poco, stanno venendo tutti alla luce: il proliferare di gruppi pericolosi come quelli razzisti, nazisti o dei guastatori di feste organizzate (“Republican Army”) e, soprattutto, l’incognita data dall’esposizione non controllata e permanente dei propri dati personali che mette gli utenti di Facebook a rischio di facili manipolazioni, truffe e persino di veri e propri furti di identità.

Ad oggi questi pericoli sembrano preoccupare ancora troppo poco l’ingenuo popolo di Facebook, ma quanto durerà? Il ridimensionamento del fenomeno è già lentamente cominciato e qualche pentito è uscito allo scoperto. Facebook farà dunque la stessa fine di Second Life? Può darsi: in fondo mantenere in vita anche il proprio avatar è faticoso eccome! Prima o poi, speriamo davvero, tornerà la sana voglia di tenersi solo la propria modesta vita reale, con quei famosi amici veri che sì, si contano sulle dita di una mano ma con i quali è possibile vedersi e a farsi una bella risata, magari con un buon bicchiere di vino in mano. Allora si potrà tornare semplicemente a chiedere: “Ci sei?”.

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January 23rd, 2014

9 libri che vorrei non aver letto per rileggerli (come fosse la prima volta).

9 libri che vorrei non aver letto per rileggerli (come fosse la prima volta).

credit: Brenda Clarke

Un uomo – Oriana Fallaci
Perché molto tempo prima delle polemiche estremiste degli ultimi anni, Oriana scrisse un meraviglioso libro sull’amore (e sulla sua storia con Alekos Panagulis). Anche una sola di tutte le portentose metafore contenute in questo libro vale la sua lettura.

Non ti Muovere – Margaret Mazzantini
Perché quando inizi a leggere, non ti muovi più.

Bruce – Peter A. Carlin
Perché sono di parte. E leggere la vita, la storia ed il passato del rocker più potente della storia, non ha prezzo.

Quiet – Susan Cain
Perché i cosiddetti “introversi” sapranno finalmente di avere ragione.

Il piccolo Principe – Antoine de Saint Exupery
Perché il senso della vita, il significato dell’amore e dell’amicizia sono raccontati con parole e metafore talmente semplici da entrarti nel cuore con la facilità di un sorriso.

Bésame Mucho – Carlos Gonzales
Perché grazie a questo libro, tutti gli stereotipi e le imbecillità che si raccontano sui bambini e sul modo di crescerli vengono semplicemente demoliti. A forza di palesi e magnificamente esposte verità.

Furore – John Steinbeck
Perché Tom Joad ti rimarrà appiccicato sulla pelle per lungo, lunghissimo tempo. Specialmente quando in confronto a lui (e ti farà bene) ti sentirai così benestante da vergognarti di te.

Il profumo delle foglie di limone – Clara Sánchez.
Perché l’amicizia inconsapevole di Sandra in Costa Blanca con due ex nazisti, ti fa ricordare che le persone possono davvero avere mille facce e che le apparenze ingannano, eccome.

Il Profumo – Patrick Süskind
Perché la tristissima, macabra, originalissima storia di Grenouille, tutta basata sul senso dell’olfatto, è qualcosa che difficilmente si riesce a dimenticare.

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January 18th, 2014

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